ARCHIVI DIRITTO E SENTENZE: 19 Settembre 2013
Sentenza del 19 settembre 2013, Asbl Chiesa di Scientology c. Regno del Belgio, domanda n. 43075/08)
L’associazione ricorrente, ASBL Eglise de Scientologie, è una persona giuridica belga con sede in Bruxelles. Nel 1997 è stata messa sotto inchiesta giudiziaria con l’accusa di frode e di appropriazione indebita. Tra il 1999 e il 2007 una serie di quotidiani belgi hanno pubblicato
commenti, attribuiti a pubblici ministeri, in cui venivano mosse accuse all’associazione in questione. Basandosi in particolare sul suo diritto alla presunzione di innocenza, l’associazione ricorrente ha presentato cinque denunce successive contro ignoti, chiedendo di intervenire come parte civile nel procedimento, ma le denunce sono state sistematicamente accantonate dalle autorità. Nel frattempo, nel 2007, l’associazione in parola aveva anche presentato ricorso alla Sezione penale della Corte d’appello, sostenendo che i procedimenti penali a suo carico dovevano essere
dichiarati irricevibili, in quanto effettuando tali dichiarazioni alla stampa i pubblici ministeri avevano violato la segretezza dell’indagine giudiziaria e avevano ignorato il suo diritto alla presunzione di innocenza e al contraddittorio. Nel 2007 tale ricorso è stato dichiarato ricevibile,
ma infondato, e il suo appello per motivi di legge è stato respinto nel 2008. Secondo le informazioni fornite dalle parti, i procedimenti a carico della ricorrente sono tuttora pendenti nella fase delle indagini preliminari. Il ricorso dell’associazione in parola è stato depositato presso la Corte europea dei diritti dell’uomo il 5 agosto 2008. Invocando l’articolo 6, paragrafo 1, la Chiesa di Scientology ha lamentato una violazione da parte della procura del suo diritto ad un equo processo, sostenendo che i pubblici ministeri avevano espresso pubblicamente il loro parere su accuse a suo carico prima ancora dell’esercizio dell’azione penale. Ai sensi dell’articolo 6 § 2, l’associazione ricorrente ha altresì sostenuto che i pubblici ministeri avevano reso pubbliche dichiarazioni che riflettevano la loro visione circa la sua colpevolezza, violando in tal modo il suo diritto alla presunzione di innocenza.
Anzitutto, la Corte ha ribadito che doveva accertare se procedimenti fossero stati equi nella loro interezza. Di conseguenza, non potrebbe, in linea di principio statuire su una possibile violazione del diritto ad un equo processo fino a quando, in particolare, i relativi giudici di merito abbiano portato a termine il procedimento penale e pronunciato una sentenza definitiva sulle accusein questione. Poiché ciò non è ancora avvenuto nel caso di specie, la Corte ha riscontrato questa parte del ricorso è prematura ed l’ha, pertanto, respinta per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.La Corte ha, poi, ribadito che il diritto alla presunzione di innocenza può essere violato non solo da un giudice o da un tribunale, ma anche da altre autorità pubbliche, come i componenti di una procura della repubblica. Tale violazione sarebbe consistita, nel caso di specie, in dichiarazioni che suggeriscono che l’autorità riteneva l’imputato colpevole prima di qualsiasi sentenza definitiva in tal senso. Mentre la disposizione in questione non impedisce alle autorità di informare il pubblico sulle indagini in corso, essa richiede che mostrino la discrezione necessaria in conformità con il principio della presunzione di innocenza.
Nel presente caso, tuttavia, la Corte ha ritenuto necessario esaminare le prove che erano state presentate per fondare le dichiarazioni, attribuite a pubblici ministeri, che presumibilmente avevano violato il diritto della richiedente alla presunzione di innocenza. Non esiste nessuna registrazione audio o video di tali dichiarazioni, né alcuna prova che esse fossero state trascritte in documenti provenienti dalle autorità in questione, come ad esempio gli atti del procedimento o comunicati stampa ufficiali. L’unica prova prodotta dall’associazione ricorrente consisteva in articoli di stampa per i quali erano esclusivamente responsabili i giornalisti interessati, ed era altamente possibile che tali articoli non riflettessero con precisione le sfumature delle osservazioni in questione. Non era, pertanto, stato dimostrato che con le dichiarazioni
pubbliche sulle indagini in corso le autorità avessero violato il loro dovere di discrezione.Di conseguenza, la Corte ha rilevato che questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere respinta.
Tratto da: http://www.camerepenali.it/public/file/Documenti/Osservatorio%20Europa/Rassegna%20CEDU.pdf
NOTA: Il testo della sentenza è consultabile al seguente link
http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-126601#{“itemid”:[“001-126601”]}
NOTA 2: Articoli in lingua francese e inglese sulla vicenda sono visionabili qui:
http://rapsinews.com/news/20130919/268883069.html