Forteto: quelle affinità con i culti totalizzanti e distruttivi. Un saggio pubblicato sulla “Rivista sperimentale di freniatria”  (la più antica pubblicazione italiana in tema di salute mentale), prende in esame la “comunità degli abusi” diretta da Fiesoli

10/9/2014

Perché il Forteto era una comunità simile a una setta

LA RI CER CA

FRANCA SELVATICI

«MA COME è potuto succedere?». Se lo chiedono sia coloro che dal Forteto sono fuggiti, sia alcuni di quelli che sono rimasti. Come è potuto succedere che un gruppo di giovani carichi di ideali, come sono stati i fondatori della comunità del Forteto, abbiano rinunciato all’amore di coppia e alla gioia di avere figli, abbiano rotto brutalmente con i genitori e con il mondo esterno, abbiano deciso di lavorare senza un attimo di respiro rinunciando a quasi tutto il loro salario e abbiano sopportato per decenni l’umiliazione dei “chiarimenti”, le confessioni pubbliche di colpe e fantasie per lo più inesistenti? Un tentativo di risposta arriva ora dal lavoro dello psichiatra Paolo Curci e dello psicoanalista Cesare Secchi dell’università di Modena e Reggio Emilia.

Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/09/10/perche-il-forteto-era-una-comunita-simile-a-una-settaFirenze01.html?ref=search

Il Forteto, una comunità ideologica”

di FRANCA SELVATICI
Due docenti di psichiatria affrontano in un saggio il caso della cooperativa al centro del processo per violenze su minori Al suo interno, un “culto totalizzante e distruttivo” che faceva somigliare a una setta la struttura guidata da Rodolfo Fiesoli. I du professori hanno pubblicato sulla “Rivista sperimentale di freniatria” (la più antica pubblicazione italiana in tema di salute mentale) un saggio che fa parte di un più ampio lavoro di prossima pubblicazione, cui partecipano anche un giurista e uno storico, sulla questione della «comunità che salva». Il lavoro nasce dall’incontro con le vicende del Forteto. Al processo per abusi e maltrattamenti contro il capo spirituale della comunità, Rodolfo Fiesoli, e contro ventidue soci della cooperativa, il presidente del comitato «Vittime del Forteto» Sergio Pietracito, fuggito nel 1990 dalla comunità dopo avervi vissuto per 12 anni, ha parlato di «catene nella mente»: ancora oggi non sa spiegarsi che cosa lo abbia risucchiato all’interno  delle rigide regole del Forteto, dove oltretutto, mentre veniva negata la gioia dei rapporti di amore di coppia, il “profeta” Fiesoli, secondo le accuse, attirava nel suo letto adolescenti e giovani adulti con il pretesto di liberarli dalla materialità.

I due studiosi spiegano di essere rimasti particolarmente colpiti dalla struttura comunitaria e dal suo universo di “valori” morali e simbolici. A loro giudizio, fondato anche sui contributi di altri psichiatri, il Forteto era (è ancora?) una «comunità ideologica», con molte affinità con le sette dominate da un «culto totalizzante e distruttivo», all’interno delle quali «si pretende che i membri rifiutino il mondo esterno e specialmente le loro esistenze precedenti», dove gli adepti «sono indotti a raccontare storie terrificanti sulla loro vita, che viene ridefinita con distorsioni retrospettive, menzogne conclamate e omissioni di ogni cosa positiva» e in tal modo vengono «isolati da tutti gli affetti», e dove opera una «manipolazione mentale» consistente in «un sistema di strategie che distrugge l’identità dell’individuo, all’interno di una relazione di potere».
Chi aderisce liberamente a una «comunità ideologica» è spinto da un disagio personale molto profondo e da un «progetto di rinascita». Il neofita affronta «una radicale messa in discussione di sé», progetta di «ripartire da zero, di tirare un rigo sulla propria storia passata » e cerca un nuovo equilibrio nella «comunità che salva» e svolge «una formidabile funzione protettiva», offrendo un «rifugio della mente». Il Forteto è stato ritenuto per decenni un perfetto luogo di accoglienza per bambini sofferenti e per disabili. Ma, secondo gli studiosi, l’ideale si è presto tramutato in ideologia. E la comunità è andata incontro a «quella condizione aberrante, definita dal professor Hinshelwood “la sindrome della montagna incantata” », per effetto della quale «al mondo esterno vengono attribuite caratteristiche nocive o minacciose», la comunità si circonda di una barriera e assume «un tratto da istituzione totale»: «Tutto il buono è dentro e tutto il cattivo è fuori».
Vi è chi sostiene che «ogni organizzazione collettiva contenga fin dall’inizio una versione patologica, un versante oscuro, di sé stessa». Il rischio peggiore è che il gruppo «si abitui al “rifugio della mente”, ne divenga dipendente». In tal caso «la protezione si ridurrà a un’incarcerazione» e «regneranno soltanto confusione e terrore». Nel gruppo distruttivo regna un’idea dominante. E «nell’apparato mentale dell’adepto si instaura una struttura interna invasiva», «un oggetto totalitario» che «usa il potere per forzare il sé alla più assoluta
compiacenza e obbedienza».L’adepto che perde l’illusione salvifica dell’idea dominante e si distacca dalla comunità si sente in qualche modo un traditore del «Grande Progetto» e deve affrontare «un lungo e travagliato processo di lutto». Tuttavia, secondo gli studiosi, «l’assoluta acquiescenza nel tempo all’oggetto totalitario è l’opzione psicopatologica peggiore »: «Magari il soggetto non prova ansia… ma la sua mente, del tutto appiattita sulle idea dominante di gruppo, ne risulterebbe gravemente e forse irreversibilmente amputata»

 

Tratto da: http://www.legacoop.coop/wp-content/uploads/2014/09/REPUBBLICA-FIRENZE-FORTETO.pdf

Fonte originale: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/09/10/il-forteto-una-comunita-ideologicaFirenze07.html?ref=search

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