20 Febbraio 2015
La francese segregata all’Ortobene: «Era in pessime condizioni»
In aula il perito ha spiegato come aveva trovato la donna: «Stava male sia dal punto di vista fisico sia psichiatrico»
di Kety Sanna
NUORO. È stata un’udienza veloce quella che si è tenuta ieri mattina davanti al giudice monocratico Mariano Arca che vede sul banco degli imputati un medico francese, esponente di Scientology, accusato, insieme ad altre tre persone di aver sequestrato una donna in una casa del monte Ortobene.
Una vicenda che risale al gennaio del 2008, quando la polizia scoprì una “casa prigione” a qualche chilometro dalla città, in cui Martine Boublil, 51 anni, origine tunisina ma di nazionalità francese, ex adepta di Scientology, veniva tenuta segregata in condizioni di assoluta precarietà igienica.
Responsabile, secondo l’accusa (pubblico ministero Andrea Schirra), sarebbe il fratello della vittima, Claude Boublil (difeso dall’avvocato Pasquale Ramazzotti) e altre tre persone che il medico affermava aver incaricato per prendersi cura della donna: Marie Claude Decouduh, cittadina francese di 46 anni, Rachid Hassereldith Kabbara e Juline Quyrou, di 21 anni, difesi dagli avvocati Antonio Careddu e il collega Pilerio Plastina (del foro di Milano). Martine Boublil era stata trovata rinchiusa in una villetta, denutrita in una stanza piena di rifiuti.
Ieri in aula la deposizione del medico legale Vindice Mingioni, consulente del pubblico ministero e unico teste dell’udienza, che ha descritto le condizioni in cui trovò la donna una volta che venne trasportata in ospedale.
«Quando visitai la signora in una stanza del Pronto soccorso – ha sottolineato – era già stata lavata ma le sue condizioni erano a dir poco disastrose, sia dal punto di vista fisico che psichiatrico. Chiedeva in continuazione cibo e bevande».
Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, e confermata poi anche dal fratello, la signora Boublil era arrivata a Nuoro verso la fine del mese di dicembre 2007.
Il medico aveva sostenuto che la sorella, che soffriva di gravi patologie psichiatrice, era stata condotta in città per aver la possibilità di essere meglio sorvegliata. Da qui la tesi dei difensori del dottor Boublil e dei presunti “carcerieri” atta a dimostrare che la condotta degli imputati non poteva essere riconducibile al sequestro di persona.
FONTE: LA NUOVA SARDEGNA
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